È una reinterpretazione del S. Matteo del Caravaggio, nelle due versioni romane per la Cappella Contarelli di S. Luigi dei Francesi, che aveva suscitato enorme scalpore e che il Lanfranco conosceva sicuramente bene. Là il Caravaggio rappresentava un evangelista in penosa difficoltà a scrivere il sacro testo e un angelo che guidava la mano e la mente dell'evangelista; egli inoltre aveva ricercato effetti plastici con il trompe-l'oeil e la luce radente. Qui vengono riprese la posizione delle gambe accavallate per scrivere, della prima versione, l'atteggiamento di soggezione del santo verso l'angelo improvvisamente comparso e incombente della seconda versione, ma evitando di evidenziare con icastica drammaticità l'impotenza e la sordità umana di fronte alla verità rivelata. Reimpiega invece il tradizionale emblema di S. Luca, il vitello, l'animale destinato ai sacrifici e simbolo del sacerdozio, a cui S. Luca giunse, diversamente dagli altri evangelisti. Il risultato del dipinto piacentino è di un S. Luca pur raffinato e colto per il saper scrivere e dipingere, ma attento all'ispirazione divina, che accoglie senza troppo scomporsi. E queste erano in fondo le virtù che i notai piacentini volevano evidenziare nel protettore della loro corporazione.
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